Ritorna in carcere il boss Leo Sutera, “Il professore”, ritenuto il capo di Cosa nostra agrigentina e uno degli uomini di fiducia di Matteo Messina Denaro. C’era il pericolo che potesse scappare. Sutera, anziano boss di Sambuca di Sicilia, è indagato per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Lo Sco e la squadra mobile di Palermo ed Agrigento all’alba hanno eseguito il fermo di indiziato di delitto emesso dalla Dda di Palermo. Sutera, secondo le indagini, ha continuato a gestire affari del mandamento mafioso con il controllo, in particolare, delle attività edili della provincia di Agrigento.
Leo Sutera è da sempre considerato ai vertici dell’associazione mafiosa di Agrigento anche per i personali rapporti, più volte documentati, con i massimi esponenti di Cosa Nostra delle province di Palermo e Trapani.
Sutera è uno degli uomini di fiducia del latitante Matteo Messina Denaro al quale è legato da un’antica amicizia e ha intrattenuto, fino a pochi anni orsono, comprovati contatti attraverso il sistema dei pizzini. Nel 2012 dopo il suo arresto ci fu una stagione di veleni nella procura di Palermo. Secondo l’allora procuratore aggiunto Teresa Principato vennero bruciate le indagini su Matteo Messina Denaro.
Il provvedimento di fermo è stato emesso perché è emerso il pericolo che il capomafia sambucese potesse rendersi irreperibile. “Il professore” Leo Sutera, quando venne arrestato nel 2012, era considerato il punto di snodo delle comunicazioni tra i boss delle province e la primula rossa Matteo Messina Denaro. Un “filtro” per arrivare al capo di Cosa nostra tanto che i Ros lo immortalarono in una foto mentre leggeva un pizzino. Sutera era libero da oltre un paio d’anni, nel 2016 gli venne sequestrato un patrimonio da 400 mila euro. Dal luglio del 2018 era un sorvegliato speciale perché considerato “socialmente pericoloso”.
Gli investigatori lo hanno arrestato nella sua casa dopo alcuni segnali di una probabile fuga, emersa da alcune intercettazioni. A coordinare le indagini è stato il procuratore aggiunto Paolo Guido.
Repubblica.it – Romina Marceca