In ambito comunitario la situazione migliora, ma non in Italia: in confronto con il 2008 il peggioramento riguarda più di 3 milioni di persone nonostante il 30% del Pil sia speso per programmi di protezione sociale (meglio di noi fanno francesi e danesi)
L’Italia è il Paese che conta, in valori assoluti, più poveri in Europa: 10 milioni di persone, mentre ben 18 milioni sono coloro che si trovano in disagio sociale. È quanto emerge dalle analisi dall’Ufficio Statistico dell’Unione Europea. Sarà proprio il disagio sociale uno dei cavalli di battaglia della prossima campagna elettorale ormai alle porte. Alcuni partiti trovano la loro ragion d’essere proprio sul contrasto alla disuguaglianza sociale, vedi Liberi e Uguali, altri hanno proposto modalità più o meno rivoluzionarie per assicurare un reddito alle classi più disagiate.
In ambito comunitario la “Strategia Europa 2020” promuove l’inclusione, ponendosi l’obiettivo di fare uscire almeno 20 milioni di persone dalla condizione di rischio di povertà o di esclusione sociale rispetto al valore registrato nel 2008. In Italia il Programma nazionale di riforma ha assunto l’impegno di ridurre tale contingente di 2,2 milioni. Purtroppo il conseguimento di questi obiettivi appare lontano.
Eurostat ha infatti documentato che nell’Unione Europea vi siano lievi miglioramenti mentre resta decisamente più grave la situazione italiana: nel 2016 secondo gli indicatori utilizzati da Eurostat nel nostro paese si trovavano in condizione di disagio sociale 18,1 milioni di individui, il 30% della popolazione totale residente: in confronto con il 2008 il peggioramento riguarda più di 3 milioni di persone (25,5% del totale).
Per monitorare gli obiettivi Eurostat considera le persone in condizione di povertà relativa, la percentuale di individui in situazione di grave deprivazione materiale e infine le persone che vivono in famiglie a intensità lavorativa molto bassa. Dalla sintesi di queste tre dimensioni deriva l’indicatore di rischio di povertà o esclusione sociale.
Come capire se si è poveri
Quando si entra nella categoria di deprivazione materiale e sociale, secondo Eurostat non ci si può permettere almeno cinque delle spese sotto elencate: affrontare spese impreviste; una settimana di vacanza annuale fuori casa; evitare arretrati (in mutui, affitti, utenze e / o rate di acquisto a rate); permettersi un pasto con carne, pollo o pesce o equivalente vegetariano ogni secondo giorno; mantenere la propria casa adeguatamente calda; una macchina / furgone per uso personale; sostituire i mobili logori; sostituire i vestiti logori con alcuni nuovi; avere due paia di scarpe adeguate; spendere una piccola somma di denaro ogni settimana su se stesso; avere attività ricreative regolari; stare insieme con amici/famiglia per un drink pasto almeno 1 volta al mese; possedere una connessione Internet.
L’Italia è il paese che ha più poveri in Europa: nel 2016 erano 10 milioni
Come confermato anche dal report annuale dell’Istat le aree in cui le famiglie sono più più esposte al rischio di cadare nel degrado sociale sono quelle meridionali ma anche il Centro del Paese non se la passa bene infatti un quarto dei residenti è a rischio povertà.
Ma l’Italia fa abbastanza? Guardando i dati di Eurostat anche l’adozione del Rei, il reddito di inclusione sociale che andrà a regime a gennaio, appare una goccia nell’acqua. Però ci sono paesi che stanno facendo molto di più. L’Italia, nonostante l’amara condizione da prima della classe nella classifica dei peggiori, è solo al terzo posto per investimenti nel sociale.
Un terzo del PIL dell’UE è destinato al sociale
Nel 2015 un terzo del Prodotto interno lordo dell’Unione Europea viene destinato a programmi di protezione sociale: le spese per il sociale rappresentavano il 34% del PIL in Francia, il 32% in Danimarca e Finlandia, il 30% in Belgio, Paesi Bassi, Austria e Italia. Al contrario, la spesa per la protezione sociale si è attestata al di sotto del 20% del PIL in Romania e Lettonia (entrambe al 15%), Lituania ed Estonia (entrambe al 16%), Irlanda (17%), Malta, Bulgaria e Slovacchia (18%) e nella Repubblica ceca (19%). Queste disparità riflettono le differenze degli standard di vita, ma sono anche indicative della diversità dei sistemi di protezione e delle strutture demografiche, economiche, sociali e istituzionali specifiche di ciascun membro Stato.
Ad assorbire buona parte degli investimenti in Italia sono le spese per le pensioni: solo Grecia, Portogallo e Romani spendono di più. I sussidi per famiglie e figli rappresentano in media poco meno del 9% delle prestazioni sociali, mentre sono ancora i sussidi di disoccupazione a far lievitare i costi sociali per il nostro paese.
(fonte Today.it)