“Un giorno, ci hanno fatto mettere di spalle, tutti in fila contro un muro. E hanno iniziato a urlare, abbiamo temuto il peggio. Poi hanno sparato in aria”. Bernardo Salvo è rimasto quattro ore davanti ai carabinieri del Ros per raccontare i 108 giorni di prigionia in Libia. Cinque pagine fitte di verbale, che finiranno presto sul tavolo del procuratore di Roma Michele Prestipino, che indaga su quanto avvenuto.
“Facevano segno che mi avrebbero tagliato la gola se non facevo tornare i due pescherecci che erano riusciti a scappare”, ha raccontato ancora Bernardo Salvo. “Un libico ha cominciato a picchiarmi, con schiaffi in faccia e colpi alle gambe. Per tre giorni, ho zoppicato”. Hanno obbligato il pescatore siciliano a chiamare i compagni. “Li ho chiamati per radio, ho detto: ‘Tornate, vi prego tornate, che qui mi consumano’. Ma non sono tornati”. I libici credevano che Salvo fosse il comandante del Natalino: “Volevano vendicarsi su di me e su Giacomo Giacalone, il comandante dell’altra imbarcazione fuggita, l’Anna Madre”.
Vito Barraco racconta invece di quando li trasferirono da una cella buia a una villa: “Pensavamo che qualcosa si fosse sbloccato nella trattativa”, dice, “e invece no, era solo per farci una fotografia, niente altro che una messinscena. E spedirla in Italia. Così tutti potevano dire che ci trattavano bene”.
Fote: palermo.repubblica.it – Salvo Palazzolo