“La notte era il momento più brutto, quando si sentivano le urla disperate di detenuti che venivano torturati. I militari li venivano a prendere e subito dopo c’erano le grida disumane. Sembravano bambini”. Bernardo Salvo, uno dei 18 pescatori liberati in Libia, fa ancora fatica a parlarne. Appoggiato sulla ringhiera del balcone di casa, nel centro di Mazara del Vallo, dove si prepara alle feste di Natale, ricorda quei momenti in cui i militari avrebbero torturato decine di detenuti. Si allontana dal figlio più piccolo, Gabriele di 10 anni, che lo tiene abbracciato da quando è tornato dalla Libia, perché non vuole che senta queste atrocità. “Era terribile – racconta con il viso che si rabbuia – si sentiva chiaramente che subivano torture”.
Di notte, all’esterno del carcere “si sentivano in continuazione degli spari”, racconta ancora ‘Dino’ Salvo, timoniere del peschereccio ‘Natalino’, che subito dopo il sequestro è stato picchiato a sangue. Gli hanno dato delle ginocchiate, schiaffi e pugni. “Per tre giorni ho zoppicato per il dolore”, dice. E poi racconta che nel tragitto da un carcere all’altro “Bengasi era popolata solo da militari e pochissimi civili – dice – non ho mai visto un bambino per strada. Sembrava una città fantasma. Una città orribile, in guerra”.
Anche un altro pescatore, il tunisino Hedi Ben Thameur, 59 anni, che deve prendere da giorni pesanti antidolorifici “perché non mi sentivo più le gambe a furia di dormire a terra, sul pavimento” racconta di torture e pestaggi all’interno del carcere. “Con noi c’erano doversi intellettuali, erano rinchiusi in altre celle – spiega il pescatore imbarcato insieme con il figlio Lysse di 30 anni – c’erano professori, maestri, scienziati, studiosi, insomma intellettuali che erano stati presi dal regime di Haftar. E venivano picchiati, senza motivo”. Attraverso l’Adnkronos lancia un appello “al mondo, all’Europa, all’America”, dice “affinché qualcuno intervenga per fare uscire “gli intellettuali dal carcere, sono innocenti. Perché devono continuare a stare in galera senza alcun motivo valido?”, dice.
Il collega pescatore Jemmali Farhat, tunisino anche lui, è convinto che i carcerieri di Haftar siano “terroristi dell’Isis”. “Mi sbattevano la faccia contro il muro – racconta ancora con il terrore negli occhi e in dialetto mazarese- Poi prendevano uno dei detenuti libici e gli gridavano che era un terrorista. A quel punto lo picchiavano davanti a noi, come manco le bestie, Ma non erano terroristi, erano intellettuali, tra cui dei professori, altro che terroristi…”.
I 18 pescatori, a differenza degli altri detenuti in Libia, non sarebbero stati picchiati. Lo hanno raccontato loro ai carabinieri del Ros durante gli interrogatori. Solo due pescatori, Bernardo Salvo e Gaspare Giacalone, sono stati picchiati il primo giorno perché i loro pescherecci sono scappati e per ‘punizione’ sono stati pestati a sangue. Ma durante la detenzione raccontano di non avere subito alcuna violenza fisica. Ma maltrattamenti psicologici sì. Un trattamento di ‘favore’? Sembra di sì, dal momento che quasi tutti raccontano delle torture subite dagli altri detenuti.
Il primo ufficiale Lysse Ben Thameur racconta che al loro arrivo erano pronti a cospargerli di “polverina bianca suil corpo nudo per poi lavarci con una pompa di acqua”, dice all’Adnkronos. “Ma poi non lo hanno più fatto – spiega – per gli altri detenuti il trattamento era invece questo, ci hanno detto”.
All’uscita della caserma dei carabinieri c’è anche Ismail, un giovane senegalese, che non ha molta voglia di parlare. E’ ancora molto spaventato. E’ arrivato in Italia su un barcone dopo essere passato dalla Libia, dove era stato torturato, e la detenzione in quel paese gli ha fatto tornare in mente tutti quei maltrattamenti. Non parla, non p necessario. Ma annuisce quando gli chiediamo se ha subito maltrattamenti. “Non mi hanno picchiato – dice – ma ci trattavano malissimo. Mi facevano fare la pipì in una bottiglia di plastica”.
Ismail insieme con un altro pescatore senegalese e i due pescatori indonesiani, Giri Indra Gunawan, 43 anni, e Samsudin Moh di 40 anni, non hanno una fissa dimora a Mazara del Vallo. Al momento sono ospiti dell’Hotel Greta a spese dell’armatore di ‘Antartide’ Leonardo Gancitano. Poi dovranno lasciare l’Italia. Il contratto è scaduto e non hanno più il permesso di soggiorno.
Fonte – Adnkronos