A distanza dall’ultimo sequestro di pescatori italiani in Libia, che si concluse nel dicembre scorso, la Marina militare ha respinto un nuovo tentativo di abbordaggio da parte di un’unità delle forze militari del generale Khalifa Haftar. «Abbiamo avuto paura che finisse male e nonostante l’intervento della nostra unità militare siamo stati costretti ad allontanarci dall’area internazionale in cui stavamo pescando», racconta all’AGI Luciano Giacalone, armatore di uno degli otto pescherecci di Mazara del Vallo, soccorsi all’alba di ieri a circa 40 miglia da Bengasi.
«Il comandante mi ha riferito che li hanno visti arrivare da lontano, mentre sparavano dei colpi in area con il mitra, poi uno dei militari è salito a bordo del nostro motopesca, danneggiando perfino il radar di bordo», racconta ancora l’armatore, proprietario del peschereccio ‘Michele Giacalone’, uno degli otto coinvolti assieme all’’Antonino Pellegrino’, ‘Giuseppe Schiavone’, ‘Nuovo Cosimo’, ‘Aliseo’, ‘Anna Madre’ e ‘Artemide’.
Secondo i racconti dei marittimi, all’arrivo della nave militare ‘Alpino’ e di un elicottero della Marina Militare, il militare libico sarebbe risalito sulla motovedetta, intimando ai pescatori di abbandonare la zona. La vicenda rientra nella cosiddetta ‘Guerra del pesce’, per cui rischiano il sequestro i pescherecci siciliani impegnati nelle acque antistanti le coste libiche e incluse nella Zee (Zona Economica Esclusiva), tutelata dalla comunità internazionale entro le 12 miglia, ma rivendicata da Tripoli fino a 62 miglia.
L’ultimo episodio risale agli ultimi mesi dello scorso anno, quando dopo il sequestro dei pescherecci Antartide e Medinea, le autorità militari di Haftar trattennero 18 pescatori in Libia per 108 giorni, fino al rilascio avvenuto in seguito ad una visita istituzionale a Bengasi dell’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e del ministro degli Esteri, Luigi di Maio.
Fonte Gds