Francesco Fragapane a capo del mandamento che includeva i paesi di provincia. Svelate estorsioni, voti di scambio, controllo degli appalti pubblici. Lo Voi: “Le vittime non denunciano i danneggiamenti”. Collegamenti con la ‘ndrangheta. In manette anche il sindaco di San Biagio Platani.
Francesco Fragapane a 37 anni era un rampollo di Cosa nostra. Reggente del mandamento di Santa Elisabetta e di un grande mandamento, chiamato “della montagna”, che racchiudeva sotto di se anche i paesi di San Biagio Platani, Cammarata, San Giovani Gemini, Sant’Angelo Muxaro, Casteltermini, Favara, Raffadali, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca. Una Cosa nostra di provincia che si occupava di estorsioni (11 accertate a ditte che si occupavano anche di appalti pubblici, 12 quelle tentate), di voto di scambio, di gestione di appalti pubblici, di imposizione di slot machine e videopoker, ma anche di piazzare propri uomini nelle amministrazioni comunali e di trafficare con la droga. Documentati stretti collegamenti con i vertici delle cosche di quasi tutta la Sicilia e con le ‘ndrine calabresi.
Questa Cosa nostra è stata smantellata da una maxi operazione dei carabinieri del reparto operativo di Agrigento che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare per 63 fra boss, gregari e fiancheggiatori del mandamento “della montagna” della provincia di Agrigento. A firmarla il gip Filippo Serio su richiesta dei pm della Dda di Palermo Claudio Camilleri, Geri Ferrara e Alessia Sinatra. A coordinare il pool di magistrati il procuratore aggiunto Paolo Guido. Tra gli arrestati spicca il nome di Santo Sabella, sindaco di San Biagio Platani, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Due indagati sono sfuggiti all’arresto perché all’estero. Si tratta di Antonio Licata e Daniele Fragapane.
Il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi ha lanciato ancora una volta l’allarme delle mancate denunce da parte delle vittime delle estorsioni: “Vi è ancora una presenza vitale di Cosa nostra in questa vasta operazione in una zona come Agrigento dove si esercita l’imposizione delle estorsioni. Duole rilevare che una ventina di imprese ha subito danneggiamenti che non sono stati nemmeno denunciati”. Il procuratore di Palermo ha aggiunto: “La piu grossa operazione antimafia in questo territorio. Una mafia che si definisce il fiore all’occhiello di Cosa nostra siciliana e critica il venir meno di punti di riferimento a Palermo. Una mafia che ha collegamenti con gli altri capimandamento di altri territori, anche a Palermo”. Lo Voi ha poi fatto riferimento al tentativo di Cosa nostra di gestire i centri di immigrazione: “Resta un tentativo quello di creare nuovi centri di immigrazione. L’interesse di alcune aree di Cosa nostra è presente e attivo in un settore dove circolano soldi dello Stato per creare nuove strutture”. Il procuratore aggiunto Paolo Guido ha coordinato le indagini dei carabinieri del comandante Giovanni Pellegrino. Dice: “Preoccupante questo spaccato sociale. Sembra di tornare a 40 anni fa sentendo parlare i componenti dei clan che parlano di Cosa nostra e non di mafia. Nelle intercettazioni sembra di essere dentro a una fiction, come Gomorra, in cui si sentono frasi del tipo ‘La mafia è tutto’ o ‘Cosa nostra esiste da quando esiste il mondo’ e ancora ‘Il rispetto è il rispetto’ e poi ‘Noi siamo il fiore all’occhiello di Cosa nostra’ denigrando la provincia di Palermo, all’interno della quale viene riconosciuta autorevolezza solo alla mafia di Corleone”.
LE TENTATE ESTORSIONI AI CENTRI DI ACCOGLIENZA
La mafia agrigentina, orfana del boss Giuseppe Falsone, cercava di affondare le mani persino sull’accoglienza dei migranti. Un affare ritenuto redditizio a fronte dei continui sbarchi sull’isola. Le indagini dei carabinieri hanno svelato due episodi di tentata estorsione. “La giusta strada sono io”, diceva Calogerino Giambrone, esponente di spicco della famiglia di Cammarata. Le intercettazioni hanno svelato che nel 2014 il clan stava tentando di indurre il titolare della associazione Omnia Academy di Favara a versare la “messa a posto” ma anche a accettare di assumere la figlia di un uomo al servizio della cosca. Erano 15 i minori ospiti nella struttura e già il sindaco di Cammarata, Vito Mangiapane, aveva visto la figlia assunta “approfittando della sua posizione”, scrive il giudice Serio che definisce Mangiapane anche “uno dei contatti diretti” di Calogerino Giambrone . L’estorsione e anche le assunzioni suggerite non vanno poi a buon fine scatenando l’ira di Giambrone: “Gli avevo detto che non mi interessavano più i picciotti ma di avere i soldi”.
In un altro caso, la tentata estorsione alla coop San Francesco di Agrigento, la struttura sarebbe stata messa su direttamente con le autorizzazioni comunali ottenute grazie ai buoni uffici di Cosa nostra. Un affare mai realizzato ma sul quale i progetti della mafia agrigentina erano quelli di ottenere non solo assunzioni (“Cinque noi e cinque loro”, diceva Giambrone) ma anche una percentuale su ogni migrante accolto e il 40 per cento degli introiti della struttura. Per il giudice, però, nonostante Giambrone afferma che “Si parla coi sindaci e io problemi non ne ho”, si configura più “una società con il titolare che non un’imposizione”.
LE INDAGINI
L’indagine è durata oltre due anni e si è avvalsa di intercettazioni, pedinamenti, testimonianze delle vittime di estorsione. Chi non si piegava al pagamento riceveva atti intimidatori. Come la Ediltec di Mussomeli che nel 2014 si stava occupando della riqualificazione di piazza Messina a San Biagio Platani. Dopo avere tentato di imporre la fornitura da parte di una ditta e l’assunzione di un uomo del clan, i boss agrigentini alle prime resistenze alzano il tiro e inviano una busta con proiettili al titolare, gli fanno trovare una bottiglia di benzina e infine gli bruciano un macchinario. Il titolare alla fine si piega alle imposizioni di Cosa nostra.
Un importante contributo alle indagini è arrivato anche dalle dichiarazioni dei pentiti. Soprattutto quelle di Vito Bucceri, l’ultimo mafioso agrigentino che ha scelto di svelare i nuovi assetti di cosa nostra nella provincia e che è attualmente detenuto.
LE AZIENDE SEQUESTRATE
Infine sono state sequestrate le aziende V. & F. Group srl di Agrigento, Mg Giochi di Traina Nazarena con sede a Cammarata, il centro scommesse “GoldBet” di corso Umberto I a Casteltermini e LI.Ve.Ca. srl con sede a Racalmuto. Sigilli anche ai patrimoni aziendali delle imprese individuali di Stefano Valenti, Gerlando Valenti e Vincenzo Spoto.
(Repubblica.it – Romina Marceca)