Non ricordarsi di svoltare al solito incrocio, dimenticare dove si trovano le chiavi, sbagliare il nome di quel famoso attore: piccoli intoppi di memoria sono più che naturali soprattutto con l’avanzare dell’età, e se non troppo frequenti non dovrebbero preoccupare. Ma come distinguerli da segnali più allarmanti, come i sintomi precoci di una demenza? Quando è il caso di approfondire?
NON PENSARE SUBITO AL PEGGIO
Anche il cervello invecchia: i neuroni si restringono, mantengono meno connessioni attive tra di loro e trattengono meno sostanze chimiche necessarie a inviare segnali ad altre cellule. Ciò nonostante, non tutti i buchi di memoria hanno a che fare con l’avanzare degli anni. In molti casi sono legati allo stress, all’ansia, alla distrazione o a un tono dell’umore negativo che rende più arduo concentrarsi.
In parte, poi, dimenticare è… sano: troppe informazioni superflue rallentano il recupero dei ricordi “utili” e il cervello decide in autonomia che cosa vale la pena tenere e cosa no. Come spiegato su The Conversation, il cervello ritiene più facilmente le informazioni di carattere sociale (come i gossip) e dimentica più spesso quelle astratte (come i numeri di telefono).
QUANDO CORRERE AI RIPARI
I blackout di memoria diventano allarmanti quando sono persistenti, se peggiorano nel tempo e quando interferiscono con le normali attività quotidiane.
Non è un problema se manchiamo una svolta; lo è se non ricordiamo come si guida e perché ci siamo messi al volante. Lo è se continuiamo a riporre gli oggetti nei posti sbagliati o se spesso ci mancano le parole che servirebbero in una frase. In questi casi è bene eseguire accertamenti.
UNA FASE DA MONITORARE
Lo stato di transizione tra un normale invecchiamento cerebrale e le demenze è chiamato decadimento cognitivo lieve. Questa condizione comporta una sfumata difficoltà in una o più funzioni cognitive, per esempio la memoria, il linguaggio o la capacità di programmazione, e dunque maggiori problemi a completare compiti complessi come prepararsi un pasto.
Non necessariamente con il tempo peggiora o sfocia in patologie più serie: in alcuni casi rimane stabile come gravità e in altri può persino migliorare (per esempio se era legato all’ansia o al tono dell’umore). Ma nel 10-15% dei casi il decadimento cognitivo lieve è prodromo dell’Alzheimer: se diagnosticato per tempo può aiutare a gestire meglio la malattia e a fare piani per il futuro.
PERDERSI NON È UN BUON SEGNO
Un altro segnale a cui prestare attenzione è la capacità di orientamento spaziale, una delle prime funzioni perse nella malattia di Alzheimer, la più comune fra le demenze. Le aree cerebrali che conservano il ricordo degli spazi che frequentiamo sono tra le prime a essere colpite da questa patologia: pertanto un aumento della frequenza con cui ci si perde è un sintomo da prendere sul serio.
Focus – Elisabetta Intini