Il detonatore per un giovane estremista da tempo pronto ad esplodere. Questo potrebbe essere stata la vicenda di Pamela Mastropietro per Luca Traini. Per gli investigatori non ci sono collegamenti tra i due, ma la vicinanza temporale e geografica fra la morte orrenda della 18/enne romana – accusato un nigeriano – e il tiro al bersaglio contro i ‘neri’ del 28/enne marchigiano è forte.
Dalla rosticceria sotto casa l’hanno visto andare in macchina. Lì ha sistemato la bandiera tricolore sul vetro posteriore, poi è salito a bordo con la sua pistola, una tuta mimetica, due caricatori, il porto d’armi. Si è fermato all’autogrill nella zona industriale di Tolentino. Dopo aver bevuto un caffè è andato via, ma alla barista avrebbe detto: «Ciao, vado a Macerata a fare una strage».
Traini è stato trasferito in carcere, dopo aver lasciato la caserma dei carabinieri all’una di notte: a testa alta e sguardo dritto davanti a sé non ha detto una parola ai cronisti che erano ad attenderlo. Traini è ora nel carcere di Montacuto, lo stesso dove è rinchiuso Innocent Oseghale, il nigeriano presunto assassino di Pamela.
Proprio la morte brutale di Pamela Mastropietro sarebbe all’origine della tentata strage di ieri. Traini lo ha ribadito ai carabinieri. “Ero in auto e stavo andando in palestra quando ho sentito per l’ennesima volta alla radio la storia di Pamela. Sono tornato indietro – avrebbe raccontato – ho aperto la cassaforte e ho preso la pistola”.
Traini ha un passato lontano di famiglia disastrata e uno recente da candidato della Lega a Corridonia, nel Maceratese, alle comunali dello scorso anno. Chi lo conosce parla di una progressiva radicalizzazione a destra in una vita solitaria e disperata, a farsi i muscoli in palestra e a professare idee violente.
Traini, nato a Tolentino, nella stessa provincia, “è stato abbandonato dal padre quando era molto piccolo e la madre l’ha mandato via in anni recenti”, racconta l’amico Francesco Clerico. Titolare delle palestre frequentate negli ultimi dieci anni dal ragazzo, lo ha allontanato dall’ultima, a Tolentino, “a ottobre – ricorda – perchè faceva il saluto romano e battute razziste”. E aveva da tempo la pistola – regolarmente denunciata – che ha usato per ferire sei migranti di colore, accecato dall’odio razziale. Un’idea che sembrava ossessionarlo.
Nelle foto su Facebook Traini appare rasato a zero, tatuato il simbolo di Terza Posizione, neofascisti anni ’70-’80. Un video delle comunali a Corridonia a giugno 2017 è a pochi metri dal leader della Lega Matteo Salvini. “In passato era stato vicino a Forza Nuova e CasaPound”, dice Clerico, “gli hanno inculcato idee violente”. Pochi lavoretti e sempre per breve tempo: buttafuori, vigilante, manovale soprattutto. Traini viveva con la nonna a Tolentino. “Qualche anno fa aveva una ragazza – ancora il proprietario della palestra -; da quando si son lasciati é diventato così”. Era stato anche da uno psichiatra. Diagnosi: tipo border line.
Il confine lo ha scavalcato ieri in centro a Macerata, cercando ‘neri’ da colpire e sparando anche su una sede del Pd. I rivali alle comunali, “il controllo degli extracomunitari” nel programma del candidato sindaco della Lega con il quale si era presentato il giovane. Traini aveva preso zero voti. “Non aveva nemmeno amici”, dice Clerico. Una solitudine frustrata che lo ha portato a sfiorare la strage, per poi consegnarsi in maniera teatrale, tra tricolori, saluti romani e monumento ai caduti. I camerati di Forza Nuova promettono sostegno legale al ‘lupo solitario’ dell’estremismo razzista di provincia.
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