Per evitare di pagare il pizzo, 25 anni fa, avrebbe aperto le porte della sua calcestruzzi ai mafiosi più pericolosi della provincia di Agrigento. C’è una storia nel paese di Leonardo Sciascia, Racalmuto, che non è stata ancora raccontata. Dietro la brillante ascesa imprenditoriale di Calogero Romano ci sarebbe Cosa nostra. Dal calcestruzzo è passato alla realizzazione di reti telematiche con grande facilità, le sue aziende sono oggi leader nella Sicilia occidentale. E, adesso, scatta un sequestro da 120 milioni di euro, tanto valgono le 10 aziende del gruppo Romano, con annessi 119 immobili e 16 rapporti bancari. Gli investigatori del Gico del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo hanno ricostruito la rete di relazioni e complicità dell’imprenditore, che due anni fa è stato già condannato a 6 anni e 6 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Adesso, il provvedimento della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Agrigento sollecitato dal procuratore aggiunto di Palermo Marzia sabella ripercorre le dichiarazioni dei pentiti che avevano portato a quella sentenza, ed entra poi nei segreti finanziari di Calogero Romano.
Il pentito Maurizio Di Gati ha svelato il patto: “Si mise a disposizione per assumere personale indicato da noi. Gli accordi erano che saremmo stati soci occulti, sia nella ditta di fili elettrici sia nella società che doveva realizzare l’autodromo a Racalmuto. E avremmo diviso i guadagni”. I finanzieri del nucleo di Palermo, guidati dal colonnello Francesco Mazzotta, ritengono di avere trovato i riscontri alle accuse: dall’analisi delle entrate societarie è emerso un buco di quattro milioni euro, di cui non si conosce l’origine, potrebbero essere i soldi versati dai soci mafiosi.
Il provvedimento di sequestro è scattato anche per l’Autodromo internazionale Valle dei templi di Racalmuto e per le società che rappresentano la cassaforte del gruppo Romano, a partire da quelle che si occupano della produzione e della posa dei cavi (la Romano Telecomunicazioni srl e la Mediterranea cavi spa); l’autodromo è invece gestito dalla “Program group racing engineering srl”, altre società sono impegnate nel settore immobiliare. A Romano viene contestato anche di aver fornito il calcestruzzo a ditte di mafia per realizzare uno dei più grandi centri commerciali della Sicilia, “Le vigne”, costruito fra Agrigento e Caltanissetta. “Per quei lavori – scrive la Finanza – l’imprenditore ha fatto sistematicamente ricorso a sovrafatturazioni delle forniture di calcestruzzo, per precostituire fondi neri necessari al sostentamento della famiglia mafiosa di Canicattì”. La storia di un imprenditore che ha ritenuto conveniente rivolgersi ai mafiosi per consolidare e sviluppare la sua posizione.
Repubblica.it – Salvo Palazzolo