Lo aveva detto e lo aveva scritto: la trasfusione era contro la sua fede e la rifiutava. Ma una testimone di Geova la ricevette lo stesso. Per i medici dell’ospedale Cimino di Termini Imerese, invece, era indispensabile per salvarle la vita. Ma la signora, 25 anni ai tempi della vicenda e alla sua prima gravidanza, aveva spiegato che il motivo della sua scelta era legato al suo credo religioso. I sanitari, invece, informarono la procura e decisero di andare avanti. Tre trasfusioni nel giro di poche ore. E a nulla valse il fatto che la paziente aveva fatto riportare il suo dissenso anche in cartella clinica.
Oggi il tribunale di Termini Imerese ha condannato il primario dell’Unità operativa di Chirurgia, Giovanni Spinnato, per violenza privata. La pena è di un mese, pena sospesa, come aveva richiesto la procura. Ma il collegio ha deciso anche una provvisionale di diecimila euro immediatamente esecutiva. Assolto dallo stesso reato il dirigente medico Michele Terranova perché “il fatto non costituisce reato”. A difendere la paziente e il marito, costituitisi parte civile nel processo, gli avvocati Marcello Rifici e Lucio Marsella. “Il rifiuto della paziente andava rispettato non solo perché il trattamento medico non era strettamente necessario ma soprattutto perché si trattava di un rifiuto di persona adulta e capace”, dicono i due legali.
Il primario Spinnato era imputato, insieme ai due chirurghi Vincenzo Pio Falzone e Carmelo La Rosa, anche per l’aborto del feto che si sarebbe verificato dopo due interventi: il primo per rimuovere la colecisti e il secondo per bloccare un’emorragia per la lesione di un vaso sanguigno. Da questo reato tutti e tre sono stati assolti.
La trasfusione alla donna — secondo i medici — era necessaria: la paziente aveva un valore troppo basso dell’emoglobina. La perizia disposta dal tribunale di Termini Imerese ha messo in evidenza due fatti processualmente rilevanti: l’aborto non sarebbe stato causato dai due interventi subiti dalla paziente e dai dati clinici e di laboratorio non è emerso il ” pericolo di vita”. Ciò significa che la richiesta della paziente poteva essere accolta. Quelle trasfusioni non erano strettamente necessarie.
Repubblica.it – Romina Marceca