Era successo in Puglia, con una valanga di critiche e spiegazioni a seguito che hanno convinto alla fine ben pochi. Poi a Roma, con lo Spallanzani che si è ritrovato a smentire, seccamente, il caso di una ventenne intubata. E sta succedendo, in misura minore, anche in Sicilia. Esperti e non che etichettano come “gravi” giovani contagiati dal coronavirus, a qualcuno scappa addirittura la parola “rianimazione” o “terapia intensiva” (che sono due cose diverse, per chiarire).
Il punto è che poi, guardando i bollettini quotidiani e sentendo le varie fonti, nei dati ospedalieri raramente si ha un riscontro di questi giovani e men che meno in terapia intensiva. Dove non c’è traccia. Dunque, allarmismo eccessivo? Forse no, visto che c’è una pandemia in corso ed è giusto non comunicare messaggi sbagliati, ma a qualcuno certamente la mano scappa un po’ troppo spesso. E così facendo, si ottiene poi l’effetto contrario, ovvero quello di banalizzare una volta scoperta la cattiva informazione.
Certamente gli esperti fanno bene a lanciare gli allarmi e ad invitare i giovani alla prudenza, al distanziamento sociale, all’uso delle mascherine e delle misure igieniche, anche perchè, come si è visto dagli ultimi dati, la pandemia sta cambiando e colpisce proprio i ragazzi. Quella fascia di popolazione, cioè, che sembrava essere quasi immune al virus.
“La pandemia di Covid-19 nel mondo è entrata in una nuova fase, in cui è spinta da contagi nei giovani sotto i 40 anni e con un maggior il rischio per le fasce più vulnerabili”, ha detto Takeshi Kasai, direttore dell’ufficio del Pacifico Occidentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) in conferenza stampa. “L’epidemia sta cambiando – ha affermato – e le persone di 20, 30, 40 anni stanno sempre di più pilotando la diffusione. Molti non sanno di essere infetti e ciò aumenta il rischio di contagio dei più vulnerabili”.
L’osservazione sull’età dei contagiati vale anche per l’Italia, come conferma l’ultimo report dell’Iss, Istituto Superiore di Sanità, riferito alla settimana fino all′11 agosto, che ha registrato un’età media dei nuovi casi che si aggira intorno ai 34 anni.
Tutti gli studi però tendono a sottolineare che sì, l’epidemia adesso colpisce di più i giovani (che si muovono ovviamente di più e hanno molta più vita sociale delle altre fasce d’età), ma ancora (speriamo mai) non indicano se il Covid-19 sia diventato più pericoloso sotto i 40 anni di età. Anzi, il presidente della Società internazionale di malattie infettive Paul Tambyah ha proprio ieri sottolineato che il virus è sì mutato, diventando più contagioso ma meno letale in generale.
Guardando l’ultimo, e più aggiornato, report di Epicentro (epidemiologia della sanità pubblica per l’Istituto Superiore di Sanità), sono 389 (su oltre 34000, al momento dellA statistica) i pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 86 di questi avevano meno di 40 anni (56 uomini e 30 donne con età compresa tra i 0 e i 39 anni). Di 8 pazienti di età inferiore ai 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche; degli altri pazienti, 64 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 14 non presentavano patologie di rilievo. Dunque, fino a qui, il punto è che i giovani sembrano essere un pericoloso veicolo di trasmissione per genitori, nonni e persone fisicamente più fragili, e per questo sicuramente vanno “tenuti a bada” in qualche modo, ma nulla di più.
Qualcosa sta cambiando? Anche qui gli esperti non sono poi troppo sicuri, una costante che bene o male ci ha accompagnato e ci sta accompagnando per tutta la durata della pandemia. Dunque, guardiamo i dati.
In Sicilia, in questo momento, i pazienti giovani (meno di 30 anni) ricoverati in ospedale sono 3, tutti tra i 19 e i 20 anni, tutti tornati da Malta e tutti nei reparti di Malattie infettive. Qualche giorno fa era scattato l’allarme per una ragazza di 20 anni addirittura in Rianimazione al Cervello di Palermo, ma poi si è scoperto (o chiarito) che era “semplicemente” ricoverata in malattie infettive. E si era persino parlato anche di un 29enne ricoverato in terapia intensiva a Catania, ma la notizia è stata smentita dalla Regione che ha chiaramente riferito come tutti i casi più gravi (per intenderci, gli otto in intensiva riferiti all’ultimo bollettino di ieri) siano connessi a persone con un’età superiore ai 50 anni.
Il punto, tornando un attimo indietro, sembra essere la differente comprensione tra quello che dice l’esperto e chi lo sta a sentire, come ha spiegato il capo della task force per il coronavirus in Puglia, Pierluigi Lopalco. Uno di quelli che, fin da prima dello scoppio della pandemia, ha sempre spinto sull’acceleratore sull’allarme coronavirus (a volte a ragione, a volte no), ma che stavolta si è trovato costretto a spiegare le sue affermazioni.
Poco prima di Ferragosto, infatti, aveva dichiarato che cinque giovani pugliesi, tornati dalla vacanze, erano ricoverati in condizioni “severe” per una polmonite da coronavirus (come succede purtroppo anche con altri tipi di polmoniti, tra l’altro). Parole che in molti hanno tradotto in “condizioni gravi”, “terapia intensiva” e simili, che poi sono gli stessi che hanno attaccato l’epidemiologo di eccessivo allarmismo (Salvini in testa), e di cavalcare l’onda della malattia per la sua (fresca) corsa di candidato alle elezioni regionali in Puglia sotto l’ala del governatore Emiliano.
“Se la chiamata ai reparti è stata fatta con la richiesta di capire se ci fossero pazienti gravi, è possibile che i medici abbiano potuto rispondere di no – ha spiegato Lopalco -. Per un medico la condizione “grave” è differente dalla condizione di “severità”, in cui invece i cinque giovani ricoverati si trovavano“. L’epidemiologo infatti aveva usato il termine “severo”, che sarebbe (dice lui) il penultimo nella scala della medicina che non corrisponde però né a un ricovero in terapia intensiva né a una prognosi riservata.
Sarà vero? Probabile, ma ad un non addetto ai lavori la differenza può tranquillamente sfuggire, e un pò più di chiarezza, giusto per non evitare allarmismi, sarebbe gradita. Trattare anche i ventenni da persone adulte (cosa che hanno ampiamente mostrato di saper fare in regime di lockdown), non dovendo per forza terrorizzarli, sarebbe, questo sì, un passo avanti per cercare di frenare questo nuovo picco di fine estate.
Gds.it – Luigi Ansaloni – Valentina Grasso