L’artista, 59 anni, si è spento all’alba di martedì nella sua casa di Cassino, dopo aver lottato per una anno contro la malattia. Era considerato tra i giganti della consolle non soltanto in Italia, ma sulla scena internazionale
Dolore e sconcerto nel mondo della musica e del clubbing, tra i settori più colpiti dalla pandemia, per la scomparsa di Claudio Coccoluto, 59 anni, dj di statura internazionale protagonista dell’avanguardia in consolle da oltre quarant’anni. L’artista, originario di Gaeta, in provincia di Latina, dove aveva iniziato ad appassionarsi di giradischi nel negozio di elettrodomestici del padre sulle note di Maga Maghella di Raffaella Carrà (così ci aveva raccontato in una recente intervista con la pacatezza che era uno dei suoi tratti distintivi), si è spento martedì 2 marzo alle 4.30 nella sua casa di Cassino, accanto alla moglie Paola e ai figli Gianmaria e Gaia.
Tra i primi a volergli rendere omaggio il socio Giancarlo Battafarano, in arte Giancarlino (insieme avevano fondato il Goa , 25 anni di storia nella Capitale, unico club in Italia a finire nelle classifiche dei migliori al mondo): «Se ne va il maestro più grande e l’amico di sempre. Ha dato cultura alla musica nei club come dj e artista fuori dal coro. Sempre pronto a metterci la faccia con i media sia per gli aspetti gioiosi sia per i problemi del nostro settore. Con lui se ne va una parte di me».
Coccoluto, «Cocco» per gli amici e gli addetti ai lavori, esordisce nel ‘78 come speaker nell’emittente locale «Radio Andromeda», la sua prima interfaccia con il pubblico. Nel mondo del clubbing approda negli anni Ottanta, chiamato da Marco Trani, altra figura seminale nel mondo del djing scomparso prematuramente a 53 anni e apprezzato per il suo virtuosismo ai piatti, a sostituire Corrado Rizza. Protagonista e innovatore nel filone dell’elettronica underground, Coccoluto si contraddistingue per l’originalità stilistica , risultato di una ricerca costante e di una passione sconfinata. E pensare che, da adolescente, odiava la disco e la black music. A conquistarlo, l’ascolto di una cassetta di bani mixati da Daniele Baldelli e Mozart, resident alla Baia degli Angeli di Gabicce Mare, sulla Riviera Romagnola: «Fui catapultato — ricorderà più tardi — nell’idea che il dj avesse un’essenza creativa». L’apice della sua carriera, la serata che più lo inorgogliva, la performance alla Sound Factory di New York nel ‘91: «In pista c’erano tutti i più grandi, da Louie Vega a Tony Humphries».
Durante il lockdown, quando il mondo dei club si è fermato, è stato tra i più attivi nel sensibilizzare la politica e l’opinione pubblica sulle difficoltà del settore che, oltre a rappresentare una fucina di sperimentazione oltre il semplice intrattenimento, dà lavoro a migliaia di persone: «Chi fa clubbing è un volano culturale per i movimenti giovanili, finora l’approccio delle istituzioni è stato riduttivo : sia il governo, sia il Mibact ancora non definiscono un ruolo definitivo per questo comparto, nonostante muova un indotto enorme. La mancanza di interesse e di sussidi crea una condizione pericolosa, i professionisti dovrebbero arrivare vivi a un’ipotetica data di riapertura che nessuno ancora conosce, mentre devono pagare l’affitto, le bollette…». Parole che, adesso, risuonano ancora più forti.
Corriere.it – Maria Egizia Fiaschetti