Dai pizzini nascosti sotto terra allo stop ad ogni tipi di contatto.
È il 26 febbraio 2014. Contrada Lippone, Mazara del Vallo. “… vieni verso di qua cammina Vicè …dove lo devo fare… Vicè… che stai facendo… no al contrario se li metti verso là è troppo buono… vieni qua prendi il martello… zappa qua sotto…”.
Le microspie registrano il dialogo fra Vito Gondola, anziano boss di Campobello di Mazara, l’imprenditore Domenico Scimonelli e Vincenzo Giambalvo, considerato legato alla famiglia mafiosa di Santa Ninfa. Hanno un gran da fare. Stanno sotterrando i pizzini che Gondola dovrà inviare a Matteo Messina Denaro.
Da allora solo silenzi e niente più posta per il latitante che diviene un fantasma.O meglio tante chiacchiere di gente che dice di averlo addirittura incontrato e nessuna pista concreta. Azzerata l’ultima rete di postini delle due l’una: o il padrino di Castelvetrano è stato capace di crearne una nuova oppure ha smesso di comunicare con il territorio trapanese.
Difficile, però, che Messina Denaro abbia trovato in fretta e furia qualcuno che prendesse il posto di Gondola. Si fidava di lui perché l’anziano boss, deceduto l’estate scorsa alla soglia degli 80 anni, era un mafioso di altri tempi. Fino al marzo 2010 il sistema di trasmissione della corrispondenza era stato gestito dai cognati del latitante, Vincenzo Panicola e Filippo Guttadauro, e dal fratello Salvatore. Quando furono tutti arrestati, Messina Denaro si trovò costretto a guardare al passato per rimpiazzarli. C’era pure Gondola alla cena organizzata nel dicembre del 1991 a base di ostriche, aragoste e Dom Perignon nella casa di Tonnarella dove dimorava Totò Riina. Fu lì che il capo dei capi decise di sterminare i nemici della mafia marsalese.
I pizzini sono stati spediti a Gondola dal 2011 al 2014, tre o al massimo quattro volte all’anno. Andavano letti e subito distrutti. Poi, toccava a Gondola distribuire gli ordini e attendere: “Io me lo immaginavo che c’era qualcosa in arrivo… con la stessa carrozza arrivaru”. Chi sia l’uomo della carrozza, il messaggero del latitante, resta uno dei grandi misteri della mafia recente. Probabilmente si tratta di una delle pochissime persone che conosce il nascondiglio di Messina Denaro, ormai in fuga dal 2 giugno 1993. Le ultime sue tracce concrete sono le lettere confidenziali che si è scambiato fra il 2004 e il 2006 con Svetonio, nome in codice di Tonino Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano assoldato dai servizi segreti per stanare il latitante. Una sua impronta certa sono i pizzini recuperati a Montagna dei Cavalli, l’ultimo covo di Provenzano, nei quali si metteva a disposizione di Binu, firmandosi Alessio. Probabilmente non li scriveva neppure di suo pugno. E poi ci sono i pizzini che nessuno ha mai letto. Tra cui quelli di Vito Gondola, ultimo segno tangibile dell’esistenza di Matteo Messina Denaro. Poi, il silenzio certificato dalle parole scritte in una informativa: “Dopo il sotterramento dei pizzini registrato il 26 febbraio 2014, le indagini registravano ripetuti incontri, tutti documentati anche fotograficamente dalla polizia giudiziaria, incontri durante i quali, tuttavia, non si aveva modio di cogliere alcun passaggio di pizzini”.
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