«IL NATALE È TENEREZZA, CONDIVISIONE, PRENDERSI CURA; IL RESTO È PAROLA VUOTA DI SENSO E DI CONTENUTO»
I pochi giorni che ormai ci separano dal Natale e quelli che ne prolungano il clima sono segnati in questo scorcio del 2020 da una sensazione di diffuso malessere. D’improvviso ci ritroviamo privi di quella atmosfera che negli anni passati ci regalava serenità, pace e gioia, talora alquanto infantile, che partendo dai più piccoli contagiava anche i più duri e i più scettici. Erano giorni nei quali si riassaporava il bello dello stare insieme in casa con i propri cari, piccoli e adulti e anche anziani, accomunati dal calore di relazioni semplici e perciò gratificanti. Per la verità il Natale non era e non è questa generica esperienza di benessere fisico, assai precario peraltro. Ma a tanti bastava per colorare di tinte meno grigie la propria quotidianità, anche attraverso l’immersione in «quella frenesia di fare tante cose», mentre «l’importante è Gesù. il consumismo […] ci ha sequestrato il Natale. Il consumismo non è nella mangiatoia di Betlemme: lì c’è la realtà, la povertà, l’amore» (Francesco, Angelus di domenica 20 dicembre). Tanti, non moltissimi per la verità, si concedevano il gusto di entrare in chiesa per ritrovare nella messa della notte echi di memorie infantili o adolescenziali, mai del tutto svanite. Alcuni, poi, rispettavano un appuntamento annuale che era il residuo di una esperienza religiosa ridotta al minimo sindacale.
Se poi vogliamo dare un senso all’attesa e riempirla di sentimenti davvero umani (ansia, pazienza, sconforto, condivisione partecipe, talora anche rabbia) guardiamo alla esperienza lunga, snervante, incredibile di quanti (madri e mogli, in particolare) hanno dovuto penare 108 interminabili giorni prima di poter apprendere la notizia della liberazione dei marittimi loro congiunti dalla terribile e ingiusta prigionia in Libia. La maggior parte dei protagonisti di questa dolorosissima vicenda ha dato a questo evento liberatorio il senso di un anticipato regalo di Natale, a loro concesso dal buon Dio, incessantemente pregato con fede e lacrime. E se la gioia di tutti è stata incontenibile lo si deve proprio alla sofferenza tremenda sofferta.