Quattro ore di terrore, di angoscia, di fiato sospeso. “Per quattro ore ho avuto paura che avessero ammazzato mio padre”. Alessandro Giacalone parla a bordo di un peschereccio ormeggiato al porto di Mazara del Vallo. E’ qui che la sua famiglia lavora da tre generazioni. Alessandro fa l’armatore come suo nonno e come suo padre Giuseppe che ieri era al timone dell’Aliseo l’imbarcazione colpita dalle raffiche di mitra della guardia costiera libica.
“In acque internazionali, scrivilo questo: erano in acque internazionali”, puntualizza Alessandro. “Mio fratello Giacomo – ricorda – è uno dei pescatori sequestrati lo scorso anno e rimasti prigionieri dei libici per 108 giorni. Non capisco cosa faccia il nostro governo per tutelarci, per difenderci. Siamo cittadini italiani anche noi”. Giacalone, come gli altri pescatori mazaresi contesta “l’incapacità del governo” di farsi rispettare dai libici.
“L’Italia sta aiutando la Libia in tutti i modi possibili. E cosa riceve in cambio? Raffiche di mitra contro i pescatori mazaresi che lavorano in acque internazionali. Vogliamo essere protetti, garantiti. Non vogliamo più rischiare la vita per questo lavoro. Serve una reazione vera. Basta giornate di terrore”.
Alessandro Giacalone ha saputo che l’Aliseo era sotto attacco da un altro peschereccio in navigazione. “Ho subito chiamato con il telefono satellitare mio padre ma non rispondeva. E come avrebbe potuto? L’imbarcazione stava subendo un attacco. Ero disperato. Ho chiamato la capitaneria di porto, il ministero degli Esteri. Ma sono passate quattro interminabili ore prima che mio padre rispondesse al telefono. Mi ha raccontato che sono stati inseguiti per due ore, che dalla motovedetta sparavamo ad altezza d’uomo e che è rimasto ferito di striscio, per fortuna, ma un proiettile avrebbe potuto bucargli la testa”. Domani l’Aliseo rientrerà a Mazara del Vallo, probabilmente dopo l’alba. “E allora sulla barca vedrete con i vostri occhi i segni dell’assalto libico”, conclude Giacalone.
Repubblica.it – Massimo Lorello