La procura di Palermo indaga sulla gestione della discarica di Bellolampo. Già da un anno e mezzo. L’ipotesi di reato è quella di “inquinamento ambientale”, che sarebbe stato causato da un impianto di biotrattamento inadeguato rispetto alle necessità del sito. Pesano anche i ritardi nella realizzazione della settima vasca. In piena estate sono arrivate al palazzo di giustizia le relazioni stilate dagli esperti dell’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, e dai carabinieri del Noe, il nucleo operativo ecologico. La situazione viene ritenuta grave, come ormai è chiaro a tutti. Ma questa è un’emergenza che parte da lontano. Che dunque poteva essere evitata.
L’inchiesta è condotta dal sostituto procuratore Claudia Ferrari e dal procuratore aggiunto Sergio Demontis, che coordina il pool dei reati contro la pubblica amministrazione. Per la prima fase dell’indagine su Bellolampo, legata alla gestione dell’impianto di biotrattamento, i magistrati ipotizzano una responsabilità dell’ex direttore generale del dipartimento rifiuti dell’assessorato regionale all’Energia Maurizio Pirillo e di Mariano Grillo, direttore generale per i rifiuti e l’inquinamento del ministero dell’Ambiente. Per la fase più recente dell’emergenza, non ci sarebbero invece indagati, almeno per il momento.
Ma restano pesanti le valutazioni depositate in procura. Secondo l’Arpa, Bellolampo costituisce «imminente minaccia di danno ambientale». Come anticipato nei giorni scorsi da Repubblica, nell’impianto di trattamento, da mesi bloccato perché stracolmo, “giacciono tra le 50 e le 60 mila tonnellate di rifiuti” trattati e non, mentre altre 10 mila tonnellate sono stoccate nel piazzale. La relazione dei tecnici della Regione parla di “rischio incendi” e di “lagunaggi” di percolato.
Due pagine fitte di dati e fotografie che descrivono una bomba ad orologeria: “Nell’area interna all’impianto di trattamento — si legge ancora nella relazione — il cumulo di rifiuti si estende per 80 metri”.
Altrettanto grave è la situazione dell’impianto di trattamento (il Tmb), che “ha bisogno di manutenzione urgente e rischia di rompersi”, è quanto rilevato da alcuni dirigenti della Rap in un verbale interno di una riunione convocata al dipartimento Acque e rifiuti. Ma in caso di chiusura dell’impianto sarebbe davvero il caos anche in città perché nell’Isola non ci sono ‘tmb’ che possono smaltire le mille tonnellate prodotte da Palermo. Una situazione complessa, in un rimpallo di competenze fra vari organi. Magistrati e investigatori stanno ricostruendo tutta la cronologia degli eventi degli ultimi due anni: i carabinieri hanno acquisito una montagna di carte.
Repubblica.it – Salvo Palazzolo