Se volevano marcare la loro superiorità sul dossier libico e dare uno schiaffo agli italiani, i turchi non potevano fare di meglio che annunciare il controllo della Guardia Costiera libica. Le foto che hanno accompagnato ieri il comunicato non sono state casuali: si vedono le forze armate di Ankara su due motovedette donate dall’Italia a Tripoli nel 2018, quasi a ricordare beffardamente al nostro ministro degli Esteri Di Maio che Roma non ha alcun peso in Libia come invece si ostina a ripetere.
Ankara, salvatrice del Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli di fronte al tentato golpe del generale Haftar, passa all’incasso: dopo gli affari già concordati per il post-guerra in campo edilizio ed energetico, rivendica ora anche un ruolo nel controllo dei flussi dei migranti nel sud del Mediterraneo.
Il messaggio lanciato dai turchi è ancora più beffardo perché avveniva nelle stesse ore in cui il ministro degli Interni libico Bashagha (considerato vicino ad Ankara) incontrava a Roma l’omologa Lamorgese e concordava di «intensificare l’azione di contrasto alle reti dei trafficanti di esseri umani».
L’uomo forte di Misurata sa bene che il futuro della leadership libica – a giorni l’attuale premier al-Sarraj dovrebbe farsi da parte come promesso lo scorso mese – passa per il controllo dei migranti, incubo degli occidentali. Non sorprende allora il motivo per cui il ministro si mostra improvvisamente interessato al tema. Se la scorsa settimana ha decretato l’arresto di “Bija” – trafficante di esseri umani e capo della milizia di Zawiya ben noto anche alle autorità italiane – l’altro giorno ha annunciato la chiusura dei centri per migranti situati lungo la fascia costiera del Paese al nord e la loro sostituzione con quelli posti più all’interno. Il motivo: cercare di «limitare la diffusione del fenomeno» della tratta di migranti. Resta da capire con chi ora preferirà coordinarsi: con i turchi o con gli italiani che tante forze (e non solo) avevano speso sulla cosiddetta (e ingrata) Guardia Costiera libica?
Un’altra partita che Bashagha deve affrontare è quella con le milizie armate libiche che, da alleate di Tripoli nella lotta contro Haftar, ora reclamano il loro spazio. E qui il problema si fa forse più complesso. La scorsa notte la «Brigata dei Rivoluzionari di Tripoli» di stampo islamista ha mandato un chiaro avvertimento al Gna quando ha arrestato Mohammad Omar Baaio, responsabile dell’Ente libico per l’Informazione del governo di Tripoli, perché ritenuto «vicino al nemico Haftar».
Il rapimento riassume le difficoltà della Libia attuale. Sebbene il dialogo con i rivali cirenaici dell’est procede (il prossimo novembre a Djerba le due parti dovrebbero giungere a un accordo), la Tripolitania ribolle di tensione. In questo caos, mostrarsi forte è l’unico modo per prendersi uno spazio di manovra. Lo sa bene Bashagha che si mostra inflessibile in queste ultime settimane sia contro le milizie armate, che con i corrotti. A farne le spese è stato l’altro giorno anche il capo della Commissione nazionale anticorruzione Numah al-Shaykh, arrestato per aver protetto alcuni alti funzionari accusati di essersi intascati i fondi per il Covid-19.
In questo clima, il premier al-Sarraj (oggi a Roma da Conte) promette di voler «voltare pagina» sulle violazioni dei diritti umani. Questione cruciale in un Paese dove nella città di Tarhuna (a 200 chilometri da Tripoli) continuano a essere recuperati cadaveri dalle diverse fosse comuni attribuite a milizie alleate di Haftar. Gli ultimi dodici corpi qualche giorno fa: sei di loro erano bendati e con le mani mozzate.
Fonte Il Manifesto – Roberto Prinzi