Un insospettabile imprenditore ha finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro, il padrino di Cosa nostra che sembra diventato imprendibile dal 1993.
E’ Vito Nicastri, “il signore del vento” come lo definì alcuni anni fa il Financial Times: il re degli impianti eolici da Roma in giù è stato arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo coordinate dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido stringono il cerchio attorno alla rete di complicità che continua a proteggere il capomafia condannato all’ergastolo per le stragi di Roma, Milano e Firenze del 1993.
Questa notte, un blitz dei carabinieri del comando provinciale di Trapani e della Direzione investigativa antimafia ha portato in carcere 12 persone. Individuati i nuovi colonnelli del superlatitante sul territorio – i capi delle famiglie di Vita e Salemi, Salvatore Crimi e Michele Guacciardi – ma anche altri gregari, piccoli e grandi, erano gli snodi dell’organizzazione di Messina Denaro, che continua a comunicare attraverso i pizzini, biglietti di carta ripiegati fino all’inverosimile, che viaggiano in lungo e in largo per la Sicilia (e forse anche oltre) attraverso fidati postini.
L’EX SOTTOSEGRETARIO D’ALI’
La mafia trapanese continua a cercare buoni investimenti. L’ultimo progetto puntava a realizzare un’innovativa piantagione di alberi di Paulownia. L’imprenditore boss Girolamo Scandariato, figlio del capomafia di Calatafimi, aveva anche trovato i 22 ettari su cui realizzare l’affare, un grande appezzamento della famiglia D’Alì.
A trattare i dettagli dell’affitto del terreno arrivò direttamente l’ex sottosegretario al ministero dell’Interno, già senatore di Forza Italia, Antonio D’Alì. Un video dei carabinieri del nucleo investigativo ha immortalato l’incontro, il 5 settembre 2014: diventerà presto un altro elemento a sostegno della richiesta di soggiorno obbligato avanzata dalla procura per l’esponente politico ritenuto “socialmente pericoloso”. D’Alì non risulta indagato nella nuova indagine, ma Scandariato è stato arrestato.
LA BORSA DI NICASTRI
Ora, l’ultima traccia per provare ad arrivare al superlatitante è la “borsa piena di soldi” consegnata da Nicastri, così ha raccontato Lorenzo Cimarosa, il cugino acquisito di Messina Denaro che cinque anni fa ha deciso di rompere con la sua famiglia dopo essere finito in manette.
Una borsa piena di soldi che Nicastri avrebbe consegnato a un fidato capomafia trapanese, Michele Gucciardi, dopo aver concluso un affare. Poi, la borsa passò a Cimarosa, e da lui al nipote prediletto della primula rossa di Cosa nostra, Francesco Guttadauro (oggi al 41 bis).
Le indagini dei pm Carlo Marzella e Gianluca De Leo dicono che quella borsa fece un po’ di strada in provincia di Trapani a fine 2012. Ed è l’ultimo segno concreto di Messina Denaro in Sicilia. Poi, il nulla.
Nessuna traccia, nessun cenno nelle intercettazioni. Matteo Messina Denaro è tornato ad essere un fantasma, e anche i suoi fedelissimi – fiaccati da arresti e sequestri – si lamentano. “Pensa solo a lui”. Chissà, forse si è rifugiato al Nord Italia, o in Svizzera, o magari in Venezuela, dove ha sempre avuto buoni contatti.
In quella borsa “piena di soldi” c’erano i guadagni di un grande vigneto che Nicastri aveva comprato a un’asta giudiziaria, un terreno degli eredi dei cugini Nino e Ignazio Salvo, un tempo potenti colletti bianchi di Cosa nostra, oggi i loro parenti sono vittime di estorsione. Avrebbero voluto espiantare i vigneti e utilizzarli in un altro fondo, ma i boss lo impedirono, con una visita dal tono minaccioso.
Repubblica.it