I loro familiari li hanno rivisti solo sul cellulare. I due pescatori indonesiani che facevano parte dell’equipaggio dell’Antartide sono adesso ospiti di un albergo, a spese dell’armatore, Leonardo Gancitano. E il primo pranzo finalmente a terra diventa una piccola festa. Con i parenti collegati su WhastApp e i gestori del Greta Hotel come se fossero i familiari. “Quanti ricordi drammatici passano per la mente – dice Giri Indra Gunawan, 43 anni – Ogni mattina, poco dopo le sei, battevano i pugni forte contro la porta per svegliarci. Non la smettevano più. Era un tormento. Quando gli chiedevamo quando avremmo lasciato la prigione allargavano le braccia e ci dicevano ‘Solo Dio lo sa’. Poi andavano via. Ho avuto tanta paura. Non tanto di morire ma di non potere più tornare nel mio paese”.
Giri Indra racconta che “i pescatori italiani stavano in un’altra prigione”. Poi, dice in inglese: “Non ci hanno mai picchiato, però ci umiliavano e ci facevano delle angherie”. Cosa vi facevano mangiare? “La mattina, un panino piccolo, a pranzo del riso o dei maccheroni, a volte del pollo. A cena, arrivava qualcosa di indefinito: una volta, ho odorato quell’intruglio e credo che ci fosse del curry. Ma non so dire che cibo fosse”.
Oggi, a pranzo, pollo, patatine e coca cola. “Grazie Italia”, ripete Giri Indra, che spera di poter riabbraccoiare presto la figlioletta. Ma i ricordi pesanti tornano ancora: “Al massimo, ci davano dieci minuti per potere andare in bagno. E’ stato tremendo”. Il contratto di lavoro dei due indonesiani con la marineria di Mazara è scaduto lo scorso 26 novembre. “Adesso, dopo la quarantena, torneremo in Indonesia”, dice Samsudin.
“Un incubo, è stato un incubo”, ripete Giri Indra. “Però, a pensarci, una cosa positiva c’è stata – sorride – io sono musulmano, e ho pregato tanto, adesso sono ancora più religioso. Grazie Italia davvero per tutto”
Fonte La Repubblica