I trafficanti di uomini continuano ad organizzare viaggi nel Canale di Sicilia, i loro soldi passano adesso da Milano e da Udine prima di finire nelle casseforti degli Emirati Arabi. L’ultima indagine della polizia di Stato coordinata dalla procura di Palermo diretta da Francesco Lo Voi svela i nomi dei nuovi signori della tratta che prosperano in Libia, svela soprattutto la loro rete finanziaria: i soldi pagati dai migranti per i viaggi venivano gestiti da alcuni fidati intermediari che vivono nel nostro paese.
Questa notte, gli investigatori della squadra mobile di Palermo e del servizio centrale operativo hanno eseguito un provvedimento con 18 fermi. Si tratta perlopiù di cittadini eritrei che operavano nelle “cellule” della Lombardia e del Friuli. Quattro restano latitanti, probabilmente all’estero. Restano liberi anche i nuovi signori della tratta, che operano fra la Libia e il Sudan, i migranti arrivati in Italia hanno fatto cinque nomi, sono legati alle ultime storie di torture e ricatti nei campi di prigionia. Si continua a indagare per dare un’identità certa a questi personaggi.
“In questa prima fase dell’indagine ci siamo concentrati sull’aspetto economico finanziario dell’organizzazione criminale, che è costituita a cellule- dice Francesco Messina, il direttore centrale anticrimine della polizia di Stato – determinante si è rivelata una squadra investigativa che ha visto insieme investigatori di Italia e Olanda, un modulo vincente che proseguirà, per colpire i favoreggiatori dell’immigrazione clandestina e poi i trafficanti in Libia”.
Il più autorevole lo chiamano Abduselam, si sa che un eritreo, ha una trentina d’anni, statura bassa, “voce stridula” hanno detto alcuni migranti salvati da nave Diciotti nell’agosto di due anni fa. “Vive in una grande abitazione in località Ash-Shwayrif – hanno aggiunto – dove ha fatto costruire una moschea”. Alcuni testimoni lo hanno riconosciuto in foto. Le indagini dicono che gestisce tre centri di prigionia: a Cufra (nella parte sud orientale della Libia, nella regione della Cirenaica), a Bani Walid (in Tripolitania, all’interno del distretto di Misurata) e ad Ash-Shwayrif (nel distretto di Al Jabalal Gharbi, in Tripolitania), quest’ultimo è il capo più grande, capace di contenere migliaia di persone.
Il sistema “Hawala”
Un pool di magistrati continua a dare la caccia ai signori della tratta. Il provvedimento dei 18 porta le firme dei sostituti procuratori di Palermo Gery Ferrara, Claudio Camilleri, Giorgia Righi e del procuratore aggiunto Marzia Sabella. Una lunga indagine, per tratteggiare la grande rete che continua a gestire i viaggi nel Canale di Sicilia: chi organizza i barconi è in stretto contatto con chi gestisce il sistema dei pagamenti, non solo per le traversate, ma anche per raggiungere il nord Italia, o l’Europa, anche gli Stati Uniti. Per i migranti, pagano amici e parenti. Pagano ai cosiddetti “hawaladar”, gli intermediari che operano in Nord Italia, saranno poi loro a trasferire il denaro agli altri referenti dell’organizzazione, in Nord Africa e in Medio Oriente.
A Milano, la base operativa del sistema Hawala era in un bar di via Felice Casati, nella zona di Porta Venezia. “Un tempo – ha spiegato Atta Wehabrebi, il primo pentito della tratta, il metodo hawala era a Roma, ma poi è cambiato tutto. Così, la maggior parte dei migranti che arrivano dalla Libia adesso vanno a Catania e ad Agrigento, poi direttamente a Milano. Prima, i parenti fanno arrivare a Milano 800 euro, per pagare il viaggio fino in Lombardia. Arrivati a Milano, fanno un’altra hawala di 1000-1200 euro”.
Il pentito, fino quattro anni fa era un trafficante pure lui, ha spiegato che “la centrale hawala di Roma si era spostata perché c’erano stati degli arresti e tutti avevano paura”.
Anche Atta ha parlato di Abduselam, nell’agosto 2018: “Attualmente, è il capo del traffico di uomini a Tripoli per le partenze da Misurata, soprattutto come riferimento per gli eritrei. A Misurata – ha aggiunto – ci sono circa 25mila persone in attesa di partire e vivono all’interno di hangar molto grandi, dove possono trovarsi anche 1000-1500 persone”.
Il tesoro
I soldi dei trafficanti sono al sicuro a Dubai, negli Emirati Arabi. L’indagine della squadra mobile di Palermo, diretta da Rodolfo Ruperti, dice anche questo. Un’indagine complessa, perché le richieste di rogatoria avanzate dalla procura non hanno avuto risposta. Come tutte le altre, fatte negli ultimi cinque anni. Perché già altre volte erano emerse tracce dei soldi dei trafficanti intercettando i signori della tratta in Libia. Tracce che si sono perse fra conti cifrati e codici hawala.
Repubblica.it – Salvo Palazzolo