In attesa di un vaccino anti SARS-CoV-2 meglio evitare l’influenza e altre malattie con sintomi simil-covid: è una questione personale e collettiva.
Da settimane i medici di base consigliano di vaccinarsi contro influenza e pneumococco per affrontare più serenamente i prossimi mesi di convivenza con la CoViD-19. Quale relazione c’è tra queste malattie e perché quest’anno la raccomandazione al vaccino è particolarmente importante?
Nelle forme meno gravi, CoViD-19 e influenza si presentano con sintomi simili; vaccinarsi contro l’influenza aiuterà i medici a capire se i disturbi respiratori accusati da un paziente dipendano dal SARS-CoV-2 o da un virus stagionale. La vaccinazione antinfluenzale ha anche lo scopo di ridurre al minimo l’eventualità di una doppia infezione influenza-covid, una minaccia che è bene allontanare in tutti i modi: in base a uno studio pubblicato sul British Medical Journal, le persone infettate contemporaneamente da covid e influenza corrono un rischio doppio di un esito fatale rispetto a chi ha contratto “soltanto” l’infezione da coronavirus.
«L’influenza ha una mortalità circa sei volte inferiore alla CoViD-19, ma comunque da considerare» spiega a Focus.it Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Irccs Istituto ortopedico Galeazzi del capoluogo lombardo. «Il vaccino antinfluenzale contribuisce alla diagnosi differenziale ed evita gli episodi di co-infezione che possono peggiorare il quadro clinico. Esistono poi dati su una maggiore protezione dal contagio legata all’attivazione del sistema immunitario, ma si tratta di evidenze ancora da dimostrare».
Anche se uno studio pubblicato sul Journal of Medical Virology sembra suggerire una minore letalità della covid nelle aree in cui è più diffusa la vaccinazione antinfluenzale, non ci sono al momento dati sufficienti per chiarire quale impatto diretto possa avere questo vaccino sulla pandemia da SARS-CoV-2. Finora ci si attiene ai benefici indiretti. «È bene comunque ricordare – aggiunge Pregliasco – che non c’è solo l’influenza vera e propria; sono molte le infezioni respiratorie che potrebbero dare sintomi confondibili con la CoViD-19»
UNA POSSIBILITÀ POCO SFRUTTATA. Nonostante non garantisca una protezione completa dal contagio (soprattutto negli anziani, il cui sistema immunitario è già debilitato), il vaccino antinfluenzale riduce notevolmente la frequenza di complicanze e ricoveri. È importante notare che le persone considerate “a rischio” di evoluzioni sfavorevoli dell’influenza sono anche quelle più esposte agli esiti gravi della covid: anziani o persone con malattie croniche pregresse quali diabete, obesità, cardiopatie, malattie polmonari.
In Italia, nella stagione influenzale 2018-2019, hanno contratto infezioni riconducibili all’influenza più di 8 milioni di persone, il 13,6% della popolazione. I casi che hanno richiesto la terapia intensiva sono stati oltre 800 e un paziente su quattro tra questi è deceduto (dati InfluNet). Tuttavia, negli ultimi anni soltanto il 50% degli anziani e meno del 10-20% delle persone di altri gruppi ad alto rischio sono stati vaccinati, a fronte di un obiettivo minimo dell’OMS di una copertura del 75% dei soggetti a rischio.
RAGIONI SOCIALI. Ma non ci sono soltanto le ragioni individuali: ricevere il vaccino antinfluenzale riduce l’incidenza di malattie respiratorie ed evita di mettere sotto stress il sistema sanitario nazionale. Sebbene la covid in forma grave interessi diversi organi e non solo i polmoni, i pazienti con complicanze di covid e influenza richiedono spesso interventi simili, come il ricovero in terapia intensiva, ausili per la respirazione e per l’ossigenazione del sangue. Siamo insomma in presenza di due pandemie che si manifesteranno in modo più imponente nella stagione invernale, ma al momento abbiamo soltanto un vaccino a disposizione – quello antinfluenzale.
L’ANTIPNEUMOCOCCICA. Le infezioni respiratorie possono essere causate anche da batteri, il più comune dei quali è lo pneumococco (Streptococcus Pneumoniae), un patogeno presente in oltre 90 ceppi e trasmissibile per via aerea, principale responsabile delle polmoniti negli adulti. Proprio per queste sue conseguenze sui polmoni è caldamente raccomandata la vaccinazione (qui le indicazioni di riferimento). «Il vaccino contro lo pneumococco è sempre stato consigliato, ma negli ultimi anni è mancata una corretta comunicazione: purtroppo l’antipneumococco non arriva neanche al 45% di copertura sugli over 65, i pazienti più a rischio» dice Claudio Zanon, direttore scientifico di Motore Sanità e direttore sanitario dell’Ospedale di Valduce a Como e Villa Beretta Costa Masnaga a Lecco.
Anche in questo caso l’obiettivo è iniziare a limitare con i mezzi in nostro possesso possibili affezioni polmonari e risparmiare posti letto e risorse per l’infezione da covid, contro la quale ancora non esiste un vaccino. «La polmonite da pneumococco è ben riconoscibile dalla valutazione radiologica, ma i primi sintomi potrebbero confondere» continua Pregliasco. «Il vaccino antipneumococco è sempre stato in seconda linea, e solo da pochi anni disponiamo del vaccino Coniugato 13-valente (PVC13), che offre una protezione più completa (perché immunizza contro i 13 ceppi responsabili della maggior parte delle infezioni più gravi, ndr). Prima avevamo il vaccino polisaccaridico 23-valente, che dava risultati non entusiasmanti».
LA LEZIONE DELL’INFLUENZA. I Paesi dell’emisfero sud che per ragioni di stagioni “invertite” fronteggiano l’influenza durante la nostra estate sono rimasti sorpresi nel constatare per il 2020 un numero incredibilmente basso di casi. In base a quanto riportato dal Guardian, in Nuova Zelanda non si sono registrati casi da giugno: per fare un confronto, nel 2019, il 57% dei tamponi per l’influenza effettuati era risultato positivo. In Australia, tra luglio e agosto (il picco della stagione invernale e influenzale) si sono registrati appena 315 casi di influenza; lo scorso anno nello stesso periodo erano stati 131.000.
«In Australia, nonostante la stagione influenzale abbia presentato virus nuovi nella composizione, l’incidenza dell’influenza è stata molto bassa grazie alle misure anti-covid e all’erogazione di 6-8 milioni di dosi di vaccino antinfluenzale» chiarisce Pregliasco. Nell’emisfero australe la stagione dell’influenza è coincisa con i mesi di quarantena globale: i dispositivi di protezione individuale e i lockdown, insieme a una capillare campagna di vaccinazioni, hanno praticamente azzerrato la trasmissione. In misura minore, ora che abbiamo ricominciato ad uscire, potrebbe succedere anche da noi.
«Per antinfluenzale e antipneumococco occorre innanzitutto tempestività – conclude Zanon – bisogna partire subito dai primi di ottobre e utilizzare ogni possibile canale di diffusione (medici ma anche ospedali alle dimissioni, farmacie, medici scolastici). Consideriamola una sorta di prova generale: «la vaccinazione antinfluenzale dovrà servire come banco di prova per il vaccino anti-covid: quando finalmente arriverà dovremo essere già organizzati per somministrarlo ai cittadini più a rischio e a coloro che assicurano servizi e cure».