Domenico Asaro non dimentica quel giorno del 1996 quando le forze libiche iniziarono a sparare contro il suo peschereccio «Osiride», dando inizio a un inseguimento di quattro ore durante il quale un proiettile sfiorò la sua testa. La nave aveva lasciato la città siciliana di Mazara del Vallo e stava pescando gamberi rossi giganti in acque internazionali, a circa 90 chilometri dalla città libica di Misurata, quando è stata catturata. L’intero equipaggio, Asaro e i suoi otto uomini, hanno trascorso sei mesi in una prigione libica.
A 64 anni, «Mimmo», come qui lo chiamano tutti, rivive quel dramma ora che 18 pescatori di quella stessa città della Sicilia meridionale sono trattenuti in Libia dal primo settembre. Sono storie molto familiari per i pescatori di Mazara, poichè intere generazioni hanno dipeso da queste acque per il proprio sostentamento, anche se ora vedono il loro futuro sempre più minacciato. Con la diminuzione della popolazione ittica e la maggiore capacità dei pescherecci, le loro navi sono dovute fuggire dal porto negli ultimi decenni in cerca di catture più redditizie nelle acque che la Libia rivendica come proprie. Le tensioni sui diritti di pesca tra la Sicilia e i suoi vicini nordafricani, in particolare Libia e Tunisia, sono aumentate così tanto che la chiamano «la guerra del pesce».
«La cosa peggiore è che i pescatori sanno quando partono, ma mai quando tornano», ha detto all’Afp Mimmo mentre osservava il mare dal porto di Mazara, dove rimangono in banchina decine di barche segnate dal sole e dall’acqua salata.
I pescatori siciliani ritengono che sia possibile pescare nelle acque internazionali del Mediterraneo, purchè venga rispettato il limite di 12 miglia nautiche dalla costa che le Nazioni Unite considerano le acque territoriali di un Paese. La Libia, che non è d’accordo con questo limite, chiede una maggiore estensione marittima. Le tensioni sui diritti di pesca sono aumentate dopo il 2005, quando l’allora leader libico Muammar Gheddafi ha dichiarato che la zona di pesca protetta del suo paese si estendeva per 74 miglia nautiche (quasi 140 chilometri) dalla costa, in barba alle regole internazionali
Sette pescherecci sono riusciti a fuggire, ma due sono stati catturati e i loro equipaggi imprigionati. «Eravamo tutti lì, vedevamo tutto», racconta Giuseppe Giacalone, 56 anni, che ha visto portare via suo figlio Giacomo insieme ad altri sette italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi. «Non sapevo cosa fare. Avrei preferito andare invece», dice.
Sono stati accusati di pesca nelle aree protette della Libia e di essere entrati nella zona militare di Khalifa Haftar, un uomo forte della Libia orientale. Le famiglie sono convinte di essere vittime di una lotta per il potere, poichè Haftar fa pressioni per proteggere i loro interessi economici. «E chi paga tutto questo? I pescatori di Mazara», si lamenta Giuseppe Giacalone. Da quando i pescatori sono stati arrestati, i loro parenti hanno occupato il Comune di Mazara. Hanno appeso striscioni giganti con la scritta «Liberate i nostri pescatori». Altri si accampano giorno e notte davanti al parlamento italiano a Roma per chiedere notizie di parenti perchè non sanno nulla di loro, nonostante le affermazioni del governo di essere trattati bene. «Le mogli dei pescatori chiedono un aiuto internazionale. Non ci fidiamo più del governo italiano», ha spiegato una di loro, Paola Bigione, davanti al municipio. Il ministro agli Affari esteri, Luigi Di Maio, ha assicurato che il ritorno dei pescatori in Italia è una priorità assoluta.
A mezzogiorno, la chiamata musulmana alla preghiera risuona per le strade tortuose e quasi deserte del centro di Mazara. Nonostante le piastrelle colorate e allegre che adornano le pareti della Casba, il quartiere arabo, i mesi sono difficili. La disoccupazione è alta tra i 50 mila residenti e la maggior parte di quelli in età lavorativa si è spostata, come l’età d’oro della leggendaria industria della pesca, che impiegava la maggior parte dei siciliani e degli immigrati tunisini della città, era finita. Negli anni ’80 la grande flotta peschereccia di Mazara contava 400 navi. Oggi ne rimangono solo 80. Le grandi navi non possono più accedere al canale dal porto della città perchè ha smesso di essere dragato decenni fa.
Dal porto «Mimmo» racconta come mezzo secolo di vita in mare e il tempo passato nelle carceri libiche lo abbiano lasciato con il diabete. La vita di un pescatore di Mazara «ti distrugge», dice mentre mostra lo scafo arrugginito e consumato di una barca da pesca: «L’acqua salata distrugge il metallo. Immagina cosa fa a una persona».
La guerra civile in corso in Libia ha ulteriormente esacerbato le ostilità e l’Italia ora consiglia ai suoi pescatori di evitare l’area contesa. Secondo il governo siciliano, che cita l’Osservatorio della pesca nel Mediterraneo di Mazara, trecento pescatori siciliani sono stati arrestati negli ultimi decenni nel corso di quella battaglia per i diritti di pesca. Sono state sequestrate circa 150 imbarcazioni e il danno ammonta a oltre 100 milioni di euro (118 milioni di dollari). La Marina militare italiana era solita pattugliare quella zona per garantire la sicurezza delle persone a bordo delle navi. Ma secondo i pescatori, quella missione è stata sospesa a seguito di notizie secondo cui gli attacchi provengono da motovedette che l’Italia offre alla Libia per combattere l’immigrazione clandestina sulle coste europee.
Dopo l’incidente del 1996, «Mimmo» ne ha avuto un altro nel 2010. Questa volta è riuscito a scappare da una nave militare a una trentina di miglia dalla costa libica, ma i colpi hanno lasciato 96 buchi nello scafo metallico della nave. Due anni dopo, il suo peschereccio e ciò che aveva catturato furono sequestrati vicino a Bengasi e lui trascorse una settimana in prigione. Nonostante queste esperienze, Mimmo, che ha iniziato a pescare all’età di 14 anni sulle orme del padre, continua a tuffarsi in mare. «Per i gamberi rossi giganti, sì. Ma mai più vicini alla Libia», ha ammesso.
Tutto era pronto quel giorno di quasi tre mesi fa per uno dei sette viaggi all’anno alla ricerca dei gamberi giganti dei pescherecci «Antaris» e «Medinea». Tendono a rimanere in alto mare dai 30 ai 40 giorni e catturano circa 35 tonnellate di gamberetti per barca ogni anno. Ogni viaggio in mare aperto richiede un anticipo di circa 50 mila euro, dal carburante a nuove reti e stipendi. Ma i gamberetti, quei gustosissimi Aristaeomorpha Foliacea rosso vivo trovati a 600 metri sotto la superficie, valgono la pena, portando circa 50 euro al chilo all’ingrosso. Ma la notte del primo settembre, una barca della guardia costiera libica è apparsa di fronte ai nove pescherecci con le luci puntate su di loro, mentre veloci gommoni giravano intorno a loro.
Fonte Gds