La chiusura prolungata delle scuole sta rendendo necessaria l’introduzione massiccia della DAD meglio conosciuta come didattica a distanza. Tuttavia, questa riorganizzazione comporterà delle conseguenze rilevanti sulla trasmissione del sapere, sulla trasformazione dell’apprendimento e sul lavoro dell’insegnante.
La chiusura delle scuole è stata una delle prime limitazioni a carattere nazionale introdotta dalle direttive governative. Un atto senza dubbio necessario e forse persino tardivo. Una limitazione che ha anticipato solo di pochi giorni il blocco di altri settori, compreso quello recente del commercio. La gestione dell’emergenza sta ulteriormente accentuando l’accesso differenziato ai servizi pubblici fondamentali. Basti pensare che si è messa in “quarantena” la scuola per limitare la propagazione del virus, non sovraccaricando un sistema sanitario nazionale strutturalmente sottodimensionato e impreparato a gestire questo evento. Si tratta di due comparti del welfare: la sanità e la scuola, che in questi ultimi venti anni sono stati oggetto di continuo definanziamento, impoverimento qualitativo, seguito da ondate di privatizzazione. La prospettiva ormai evidente di una chiusura prolungata delle scuole rende quindi necessario organizzare una didattica a distanza e assicurare la continuità della formazione, con una precisazione importante, però, senza la quale questa affermazione rischierebbe di risultare astratta. La riorganizzazione della scuola già all’opera in questi giorni e il richiamo alla “didattica a distanza” esortata dalla Ministra all’Istruzione Azzolina e dalle ultime direttive, non hanno proprio nulla di neutrale e portano con sé una serie di conseguenze rilevanti sulla trasmissione del sapere, sulla trasformazione dell’apprendimento e sul lavoro dell’insegnante.
Dopo la prima direttiva del governo del 4 marzo, in parte corretta dalla seconda (DPCM dell’8 marzo) che ha reso maggiormente vincolante il ricorso alla DAD, si è assistito a una risposta nazionale disomogenea. In assenza di indicazioni precise del Ministero e in mancanza di piattaforme universali di e–learning (apprendimento on-line) accessibili da tutte le scuole, hanno prevalso iniziative frettolose, spesso confuse, diverse per ogni scuola e persino per ogni docente. La necessità di rispondere frettolosamente all’emergenza, anche solo per reagire a iniziative di altri istituti del territorio, secondo una logica tipicamente competitiva si è tradotta in decisioni rilevanti che impattano sulla didattica spesso senza consultare i collegi dei docenti, azzerando il normale funzionamento democratico delle scuole. C’è da riflettere poi su come queste risposte frammentarie siano in realtà tutt’altro che un effetto collaterale di una politica emergenziale. Si è assistito a un’esplosione di iniziative individuali di docenti per trovare le app e le piattaforme didattiche più all’avanguardia, alcuni si sono attivati assegnando compiti sul Registro Elettronico, il tutto accompagnato da interminabili discussioni che stanno sovraccaricando le chat di ogni insegnante e quello delle famiglie degli alunni. Di fatto la gestione dell’emergenza sta facendo ampiamente leva su una presunta “mission impossibile” individuale di scuole e docenti attingendo semplicemente alle competenze di «autodidatta». Il problema, dunque, non è in sé il protagonismo volontario dei docenti esercitato in questa fase, ma magari di solidarietà di comunicare con i propri studenti. La scuola in rete rompe comunque il gruppo classe o crea barriere spazio/tempo tra gli allievi e i docenti. Non tutte le tecnologie disponibili sono in grado di risolvere i problemi complessi del processo di insegnamento/apprendimento, basti pensare ad esempio ai bambini della scuola primaria, oppure a quelli con particolari bisogni educativi speciali ( BES). Un uso non attento di alcune tecniche rischia di negare di fatto l’accesso alla SCUOLA ad alcune fasce piu’deboli, come alcuni ragazzi/bambini che vivono in situazioni di svantaggio socio-economico, che sono tantissimi, e che magari non possiedono dispositivi informatici adeguati o hanno uno scarso o inesistente accesso alla rete.
Tutto ciò affatica, la figura dell’insegnante, dell’alunno e delle proprie famiglie, in una situazione gia’ complicata e complessa che stiamo vivendo tutti quanti per colpa del nemico più cattivo e subdolo dei nostri giorni…il “Covid-19”.
Le famiglie per questi motivi stanno davvero vivendo situazione difficili da gestire, a tal proposito
ho trovato bellissime le parole di una mamma… le condivido con voi
In questi giorni di isolamento,
in cui siamo costretti a rimanere a casa,
non mi preoccupo se i miei figli
non svolgono i compiti assegnati, non mi importa della scuola.
Non mi affanno a scaricare loro
le schede online, le letture, i ripassi,
l’elenco delle operazioni.
Non aspetto che gli insegnanti si attivino
in lezioni a distanza, mi è indifferente,
anche se quest’anno i programmi scolastici
probabilmente si fermeranno a febbraio.
Non mi rammarico di quanto i miei figli possano rimanere indietro.
Indietro a che cosa?
È un tempo questo che gli insegnerà altro,
ciò che non troveranno in nessun libro.
Impareranno a confrontarsi con la vita, quella vera.
A seguire l’unico programma che non è mai lo stesso,
che è pieno di fatti imprevedibili, di interrogazioni che ci trovano impreparati,
di lezioni nuove.
Impareranno il rispetto di se stessi e degli altri,
che significa adattarsi a nuove regole e rimanere a casa.
A gioire del calore e della vicinanza delle persone care,
perché per molti, ora, anche questo non è scontato.
Impareranno ad adattarsi a queste ore dilatate,
a confrontarsi con la noia,
che riempiranno delle loro riflessioni.
Sapranno che c’è chi è solo, davvero, e questa solitudine
si aggiunge a quella che ha da tempo nel cuore.
Sapranno di chi non ha una casa,
un posto in cui sentirsi al sicuro.
Impareranno a godere del silenzio di queste stanze,
che è solo quiete,
tanto lontano dal silenzio di angoscia
di una stanza d’ospedale.
Impareranno ad apprezzare quello che hanno,
ora che non ci sono nuovi giochi o vestiti
e cose nuove da comprare.
Impareranno ad accontentarsi di mangiare quello che c’è,
per non sprecare, perché bisogna uscire poco,
perché c’è chi neanche ha la forza di andare a fare la spesa
e non ha nessuno da chiamare.
Impareranno a farsi crescere dentro la forza
di dire “andrà tutto bene”,
quando tutto nel mondo sembra gridare il contrario.
Impareranno a farsi adulti,
ad accogliere una maturità
che non viene dallo svolgere bene le operazioni,
da come si scrive, come si legge, come si pronuncia o si riassume.
A studiare una lezione che dice che la vita, a volte, si blocca,
si rivolta su se stessa e non ha più nome.
Impareranno a capire che c’è un momento per fermarsi,
prendere il respiro, raccogliere le forze,
e soffiare sulla speranza, forte,
come sui denti di leone.
Dal mio “PUNTO DI VISTA” quindi non posso che affermare che la DAD utilizzata in tutte le sue sfaccettature, non fa altro che aumentare lo stress e il disagio giornaliero ai nostri figli, senza ottenere nel suo complesso alcun risultato positivo nell’apprendimento e nella conoscenza. Qual è il vostro “PUNTO DI VISTA”?
Articolo a cura della Prof.ssa Graziella Calamusa