Ridotta in appello la condanna per don Sergio Librizzi, l’ex direttore della Caritas di Trapani che da membro della Commissione per il riconoscimento dello status di richiedente asilo era accusato di avere ottenuto prestazioni sessuali dai migranti in cambio di favori nella pratica per il permesso di soggiorno.
La prima sezione, presieduta dal giudice Adriana Piras, ha condannato don Sergio Librizzi a 6 anni, due mesi e venti giorni, riqualificando il reato in induzione alla corruzione, come indicato dalla corte di Cassazione che aveva annullato la precedente sentenza di condanna.
In primo grado era stato condannato dal gup di Trapani a 9 anni di reclusione per concussione e violenza sessuale, poi confermata anche dalla Corte d’appello di Palermo. La sentenza nel dicembre 2017 venne annullata dalla corte di Cassazione, rispedendo gli atti ai giudici palermitani che oggi hanno ridotto la pena, assolvendo don Librizzi da un lungo elenco di episodi di violenza sessuale.
L’ex direttore della Caritas trapanese era stato arrestato nel 2014 dagli agenti del Corpo Forestale, nell’ambito di un’indagine che portò alla luce il business dei centri d’accoglienza per migranti. Era finito ai domiciliari, scontati a casa di una zia a Campofelice di Roccella, ma è tornato in libertà con la sentenza della Cassazione. L’avvocato ha annunciato nuovamente ricorso in Cassazione e in attesa della sentenza definitiva resterà in libertà.
Secondo le inchieste condotte dalla procura di Trapani, il prete era il controllore occulto della cooperativa Badiagrande, principale ente gestore di centri per migranti nel trapanese, compreso il Cie di contrada Milo, all’interno del quale si svolgevano le riunioni della Commissione di cui era membro don Librizzi. Nella sentenza di primo grado il gup di Trapani aveva riconosciuto il «ruolo dominante nella zona trapanese dell’imputato».
Secondo la Cassazione però «è indiscutibile che un accordo può essere raggiunto anche tra soggetti che si trovano in posizioni differenti» e che «ciò non cambia quando si tratta di un accordo illecito: quel che rileva è la sussistenza di un obiettivo comune, che proprio l’accordo incarna». Nel corso del nuovo processo la Corte, su richiesta dell’avvocato Donatella Buscaino, legate del prete, ha riaperto l’istruttoria dibattimentale, ascoltando dei testimoni in aula e acquisendo i provvedimenti emessi dalla Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di richiedente asilo nelle sedute a cui aveva partecipato anche don Librizzi.
Gds.it